Omicidio Budroni. Nella scorsa udienza il giudice aveva chiesto di capire se fosse omicidio volontario e non colposo. Tre giorni fa è stato trasferito e l’udienza di oggi rimbalza a gennaio. Sconcerto dei familiari.
di Checchino Antonini
Doccia fredda per i familiari di Dino Budroni, stamattina, a Piazzale Clodio dove doveva tenersi la seconda udienza del processo d’appello per l’omicidio di Budroni. L’udienza è stata rinviata al 12 gennaio. «Il rischio è che sia un passo indietro rispetto alle speranze di rimetterre in discussione il reato contestato», commentano gli attivisti di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa da sempre a fianco della famiglia Budroni. Al banco degli imputati, per omicidio colposo, un agente di polizia che ha freddato l’uomo nella notte fra il 30 e il 31 luglio del 2011 sul Gra di Roma al termine di un inseguimento. La Corte aveva rinviato, lo scorso aprile, la trattazione al 14 novembre, ma con il rinvio aveva rivolto l’invito a discutere in via preliminare un tema che era stato sottoposto dai familiari di Budroni già nel corso del primo grado: quello di Budroni è stato un omicidio colposo o un omicidio volontario, quindi commesso con dolo? Il poliziotto ha sparato accettando il rischio, possibile o probabile, di colpirle l’uomo? Ma stamattina i familiari e i loro legali hanno scoperto che il relatore che aveva sollevato la questione, il giudice Calabria, è stato trasferito da tre giorni ad altro incarico e il nuovo giudice, alle prese con un’udienza da 40 processi, non conosceva quasi nulla del caso e si profilava un ennesimo rinvio. «Nessuno ci aveva detto nulla e nemmeno il procuratore generale lo sapeva», spiega a Popoff, Fabio Anselmo, legale dei Budroni come anche di Cucchi, Magherini, Bifolco e molti altri casi di malapolizia. «Siamo fermi, capisco l’indignazione e lo sconcerto dei familiari di Dino».
La sentenza di primo grado aveva descritto uno scenario completamente diverso. L’agente, per il giudice estensore, aveva sì sparato colpendo mortalmente Budroni a seguito di un inseguimento sul grande raccordo anulare di Roma, ma era stato assolto per uso legittimo delle armi. Le motivazioni sposarono la tesi dell’avvocato della difesa per cui lo sparo sarebbe avvenuto quando le autovetture erano ancora in movimento – l’agente imputato ha sempre dichiarato di aver mirato alle ruote – ma poi riporta le testimonianze di uno dei carabinieri intervenuti che ha dichiarato di aver sentito gli spari quando tutti i mezzi erano quasi praticamente fermi.
«Oltre a questo – spiegarono a suo tempo Valentina Calderone di A Buon Diritto e Alessandra Pisa, legale di parte civile – il giudice, ha ritenuto di esaminare il caso “nel suo complessivo svolgimento e non già soltanto nell’ultima fase”. Come a dire: non ho provato che il pericolo fosse attuale e concreto, ma dato il comportamento di Budroni nelle fasi precedenti, l’agente ha fatto bene a sparare. Lo stesso giudice dovrebbe sapere, però, che nel nostro Paese non è più in vigore la pena di morte, e che se anche Budroni quella notte avesse commesso dei reati, avrebbe dovuto avere la possibilità di presentarsi davanti a un tribunale ed essere giudicato». Per questo l’udienza di aprile era stata accolta con soddisfazione dalla famiglia, che ha visto nelle parole della Corte un segno di estrema attenzione fino ad allora momento sempre negata.
La Corte d’appello si è posta un problema che rimette quindi in discussione non solo l’esistenza della responsabilità del poliziotto ma anche la gravità della stessa. Il trasferimento del giudice Calabria rischia di rimettere in discussione l’orientamento della Corte al punto da restituire la domanda se sia stata solo routine burocratica o una mossa ad hoc per disinnescare un processo di malapolizia.