Lunedì 17 luglio Padova è stata, purtroppo, teatro di una squallida parata nazista contro lo Ius Soli, organizzata da Forza Nuova con la partecipazione del Veneto Fronte Skinhead. Gli antifascisti cittadini hanno risposto con una presenza massiccia, dimostrando come un gran numero di persone, in una torrida giornata di luglio, fosse pronto a cacciare i quattro ratti nascosti dietro decine di poliziotti.
Il corteo parte da Piazza Insurrezione, raggiunge il Liston e poi si dirige verso le piazze. Proprio in Piazza dei Signori il corteo si ritrova improvvisamente non scortato dalla Polizia e svolta a sinistra. In questo frangente lo schieramento di celere che guidava il corteo si prepara ad una carica, con scene di cui purtroppo non si hanno registrazioni ma che vengono denunciate da decine di partecipanti: dalla volontà di alcuni funzionari di caricare alle spalle i/le compagn*, alla DIGOS in motorino che si lancia in mezzo alla gente che corre, rischiando di investire alcun* manifestanti. Tutto questo con il chiaro intento di spezzare il corteo e di isolarne la testa.
La situazione si scalda ulteriormente nell’altro angolo della piazza, dove un plotone passa in mezzo ai tavolini dei locali e si appresta alla carica. Diventa così evidente come la Questura di Padova non abbia il controllo di ciò che succede nella piazza, permettendo ai singoli plotoni di energumeni in divisa di agire liberamente.
In entrambe le occasioni il corteo viene tutelato da cordoni di compagn* che si pongono in difesa della manifestazione. Dopo il secondo attacco il corteo si ricompatta in Piazza delle Erbe, seguito da uno schieramento di celerini che battono i manganelli sugli scudi.
La polizia riesce a blindare la piazza, ma l’obiettivo di tutt* i/le manifestnat* è chiaro: evitare che Piazza Antenore, luogo simbolo dei movimenti sociali padovani, venga invasa dall’estrema destra.
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Verità e giustizia per Ibrahim
ACAD Associazione contro gli Abusi in divisa aderisce all’appello dell’ex OPG je so pazzo di Napoli per chiedere verità e giustizia per Ibrahim.
Ibrahim Manneh aveva 24 anni, era nato in Costa d’Avorio, era cresciuto in Gambia e da anni viveva qui a Napoli. Ibrahim è morto nella notte tra il 9 e il 10 Luglio di malasanità e di razzismo. I suoi amici, i suoi familiari, i suoi compagni, non sanno ancora come sia stato possibile morire così. Eppure, ciò che ha ucciso Ibrahim non è frutto del caso: il semplice racconto delle sue ultime 24 ore di vita è esemplare dello stato attuale di questo Paese, del clima di odio e di indifferenza all’interno del quale vogliono gettarci, di un sistema ingiusto e spietato dove i diritti più elementari vengono negati.
Scriviamo questo appello per mandare un messaggio chiaro: non possiamo far finta di niente, riteniamo sia doveroso far emergere tutta la verità sulle ultime ore di vita di Ibrahim e che venga fatta giustizia perché quanto successo non accada più.
Ibrahim se n’è andato tra sofferenze indicibili. Il suo calvario è iniziato la mattina del 9 luglio, quando ha cominciato ad accusare forti dolori addominali e si è recato all’ospedale Loreto Mare, che lo ha rimandato a casa dopo un’iniezione senza visitarlo con adeguata attenzione. Immediatamente dopo le condizioni di Ibrahim sono peggiorate, e ha incontrato solo altri ostacoli; l’ostilità del tassista a cui ha chiesto di essere accompagnato nuovamente in ospedale e da cui si è sentito rispondere un no secco. Per trasportarlo, dicevano, c’era bisogno di un fantomatico “permesso della polizia”, solo perché Ibrahim era nero. L’attesa interminabile delle ambulanze del 118 e della guardia medica che non sono mai giunte. L’omissione di soccorso delle forze dell’ordine che davanti alle richieste di aiuto non hanno battuto ciglio tirando diritto con indifferenza. Ibrahim è morto subito dopo essere arrivato finalmente in ospedale dopo essere stato portato in spalla dai suoi amici fino alla guardia medica, dopo un’attesa interminabile in condizioni critiche. Da quel momento suo fratello e gli amici non hanno ricevuto informazioni per quasi 10 ore. I medici si sono rifiutati di parlargli.
Il diritto alla salute, in questo paese, è sempre più un miraggio per una fascia di popolazione in costante aumento, quella più povera e bisognosa che non riesce a permettersi cure adeguate. Ibrahim, senza ombra di dubbio alcuno, è stato vittima di malasanità ma anche e soprattutto del razzismo più subdolo e invisibile di questa società, quello che si esercita tra le file della burocrazia e degli uffici pubblici. Perché era nero, povero, senza qualcuno che potesse garantire, intercedere, per lui. Ibrahim rischia ancora, da morto, di essere nuovamente vittima di un’ingiustizia, del tentativo di insabbiare la verità.
Ibrahim non aveva santi in paradiso, la sua storia non fa gola, e anzi rischia di mettere in pericolo, di gettare ombre su ruoli di responsabilità e dirigenza. È difficile, ma dobbiamo provarci. Non solo perché lo dobbiamo a lui e ai suoi cari, ma perché dobbiamo avere la pretesa che il destino che gli è toccato non colpisca più nessuno. Per farlo abbiamo bisogno di voi: della parte della società più integra e sana, quella che ancora non si sente assuefatta al generale clima di sfiducia e depressione del paese, che ha a cuore la verità, che cerca di restare umana.
Chiediamo di sottoscrivere questo testo, di diffonderlo, di schierarvi. Chiediamo con forza che la storia di Ibra non venga dimenticata, che le Istituzioni preposte si preoccupino di fare emergere la dinamica in cui Ibrahim se n’è andato, le responsabilità, le mancanze. Non è un paese civile quello che accetta che razzismo e malasanità possano mietere vittime impunemente.
VERITA’ E GIUSTIZIA PER IBRAHIM!
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per supportare la campagna di sostegno per le spese legali, il rientro della salma in Gambia e per la famiglia di Ibrahim
– BONIFICO BANCARIO –
causale: Verità e giustizia per Ibra
intestata a: ASSOCIAZIONE “TERRA TERRA”
IBAN: IT30B0359901899050188532427
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oggetto: Verità e giustizia per Ibra
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Per info e adesioni: jesopazzo.org
Comunicato contro la legge sulla tortura
Il 5 luglio 2017 l’Italia introduce il reato di tortura nel codice penale.
Ci sarebbe piaciuto commentare da Associazione Contro gli Abusi in Divisa con un bel finalmente.
E invece.
E invece la nuova fattispecie penale (attesa quanto meno dal 1984, anno della ratifica della Convenzione ONU contro la Tortura, e per di più unica fattispecie penale espressamente prevista in Costituzione << art. 13 co. 3 “E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni della libertà”>>) è stata approvata ieri dalla Camera in una versione tanto riveduta e corretta da risultare totalmente svuotata di senso, prima penale poi politico.
Da reato proprio del pubblico ufficiale (cioè quello che può essere compiuto SOLO PROPRIO da chi si trovi in quella particolare condizione di legge) si è passati ad un reato comune, dove la ampiezza dell’individuazione del “Chiunque” possa compierlo è tanto flessibile da risultare evanescente.
La condizione di pubblico ufficiale (o esercente compiti di custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza) segue immediatamente come aggravante, ma non essendo stata sottratta esplicitamente al calcolo del bilanciamento con le altre circostanze, anche attenuanti, non garantirà pene proporzionate alla gravità dei fatti, non reggerà l’urto della prescrizione e soprattutto non contribuirà a rendere netti i confini dell’esercizio dell’uso della forza e dei pubblici poteri.
Il comportamento punito poi nel corpo del nuovo art. 613 bis del codice penale è tutto al plurale: violenze ripetute da più condotte, minacce esclusivamente gravi, sofferenze solo se acute o traumi psicologici verificabili (??); la punizione di un comportamento durevole piuttosto che di uno istantaneo, aggravato eventualmente dalla reiterazione, resta comunque ostaggio di una prova diabolica in assenza di qualsivoglia previsione sulla facilitazione nell’individuazione dei colpevoli, sulla competenza di indagine, sul dovere di collaborazione ai fini dell’accertamento da parte degli stessi organi di polizia.
La zona grigia dell’impunità delle Forze dell’Ordine con questa legge si allarga invece che restringersi e non sorprende che ad approvarla sia oggi il governo dei decreti Minniti, quello che all’indomani del frontale attacco ai migranti, alle povertà ed al dissenso sociale in nome del decoro urbano riequilibra l’intervento punitivo dello Stato con l’introduzione di una norma contenitore senza contenuto, priva cioè di efficacia deterrente e concretamente dissuasiva, sperando così di mettere a tacere non solo le critiche sulla democraticità dell’attuale intervento di Governo ma anche le numerose condanne provenienti dalle corti europee.
Il testo di legge sulla tortura non delude solo chi come la nostra associazione negli anni si è occupato di indagini e processi contro gli abusi compiuti dalle forze dell’ordine, ed al fianco dei familiari delle vittime si è scontrato costantemente con l’assenza di strumenti legislativi adeguati, depistaggi, criminalizzazione delle vittime e screditamento della verità – certe volte così evidente e socialmente riconosciuta da affermarsi lo stesso fuori dalle grigie aule dei tribunali.
La nuova norma è già invisa all’Europa che ce l’ha chiesta, non rispetta né gli standard minimi delle convenzioni ratificate (imprescrittibilità delle condotte derivanti da reato proprio, individuazione dei colpevoli, riduzione dei comportamenti illegittimi) né quelli indicati nelle numerose sentenze di condanna per l’Italia (una su tutte la sentenza Cestaro sui fatti di Genova del 2001), una norma che nasce già sbagliata ancor prima di trovare applicazione semmai ne troverà.
Negli anni però nonostante l’assenza delle condizioni legislative, investigative e processuali per giungere alla verità, la battaglia delle famiglie delle vittime di abusi non si è mai fermata né ha retrocesso di un passo, anzi ha dimostrato come di fronte all’ostruzionismo politico ed alla ottusa difesa dell’integrità e dell’onore dei corpi di polizia, le scuse o i risarcimenti patrimoniali non bastino a spiegare come e perché la tortura nel nostro paese sia un metodo collaudato e condiviso di gestione e di governo della penalità, nelle carceri, negli istituti cura, nei cie, nelle caserme.
Per questo riconoscere che la nuova legge sulla tortura è un passo falso compiuto sotto l’incalzante pressione dell’Europa e di una considerevole parte dell’opinione pubblica in Italia è già un passo.
ACAD – Associazione contro gli Abusi in Divisa Onlus
Presentazione e Inaugurazione Acad Point Alessandria
Acad (Associazione Contro gli Abusi in Divisa) è un organizzazione senza fini di lucro, che ha come scopo l’assistenza legale a vittime di abusi da parte delle forze dell’ordine e il supporto solidale alle loro famiglie.
Il gruppo Mandrogni Gradinata Nord è onorato di annunciare, che offrirà i propri spazi ad Acad con la quale condivide principi ed affinità.
Venerdì 21 luglio dalle ore 21:00 alle ore 23:00
Covo dei Mandrogni – Via Cordara n°38, Alessandria