8° Memorial Stefano Cucchi: ottava tappa abusi torture carcere
8° memorial Stefano Cucchi
Sabato 22 ottobre 2022
Ore 14.00
Parco degli Acquedotti – Targa Stefano Cucchi (ingresso Via Lemonia angolo Viale Appio Claudio)
8º MEMORIAL STEFANO CUCCHI
«UMANITÀ IN MARCIA. STAFFETTA DEI DIRITTI»
«Grazie Rita, combattente per la verità e la giustizia»
Sabato 22 ottobre partenza alle ore 14 dalla targa al Parco degli Acquedotti (Via Lemonia, angolo Viale Appio Claudio) con arrivo alle ore 17.30 in Piazza Montecitorio. L’iniziativa ha ottenuto il Patrocinio gratuito della Regione Lazio.
Torna il Memorial Stefano Cucchi, giunto all’ottava edizione. Quest’anno il Memorial avrà un significato ancora più importante, a cinque giorni dalla scomparsa di Rita Calore, la mamma di Ilaria e Stefano. Rita ha combattuto fino alla fine al fianco di Ilaria, insieme al marito Giovanni e a Fabio Anselmo e ha lasciato a tutta la comunità un grande insegnamento di forza, dignità nel dolore e fiducia nella giustizia.
AGGIORNAMENTI PROCESSO TRAORE
Si è tenuta ieri pomeriggio, a Palmi, una nuova udienza del processo per la morte di Sekine Traore, bracciante maliano di 27 anni ucciso da un colpo di pistola sparato da un carabiniere l’8 giugno 2016 nella tendopoli di San Ferdinando (RC).
Nel corso dell’udienza è stato sentito come testimone il medico legale che ha effettuato l’autopsia sul corpo di Sekine e gli esami sulle ferite dell’imputato.
Il medico ha descritto quanto eseguito nel corso dell’esame, evidenziando come il proiettile abbia colpito Sekine sotto l’ombelico con una traiettoria da sinistra verso l’alto, andando a colpire la milza e provocando così la morte per emorragia, ipotizzando una distanza tra vittima ed imputato di circa 50 centimetri.
Gli esami tossicologici eseguiti sulla vittima hanno poi avuto tutti esito negativo, smentendo così la narrazione fantasiosa dei primissimi giorni che descriveva Sekine come una persona sotto effetto di alcol o droghe.
L’imputato ha invece ricostruito i momenti che hanno portato alla morte di Sekine, confermando la prima versione fornita dai carabinieri: un intervento per una lite nella tenda adibita a bar con una persona armata di coltello da cucina, l’arrivo nella tenda di quattro carabinieri e due poliziotti che tentano invano di disarmarlo quando ormai nella tenda non era presente nessun’altra persona, per poi arrivare allo sparo in seguito ai diversi tentativi – qualcuno riuscito – di accoltellamento.
Al di là dell’esito del processo, dall’istruttoria dibattimentale emerge un dato che difficilmente potrà essere smentito, ovvero che la morte di Sekine non è solo la diretta conseguenza dell’azione del singolo carabiniere che ha materialmente sparato, ma di un intervento completamente sbagliato in ogni suo passaggio.
All’arrivo degli agenti Sekine, in evidente stato di agitazione, si trovava da solo all’interno della tenda con un coltello da cucina in mano, senza possibilità di arrecare danno a nessuno. L’ntervento dei sei agenti non solo non è servito a calmarlo, ma al contrario ha esasperato una situazione che poteva risolversi senza alcun pericolo per nessuno.
Il processo è stato così rinviato all’udienza del 24 febbraio 2023, ore 14.30, per l’esame dei testimoni della difesa e le discussioni.
Come sempre ACAD continuerà a pretendere verità e giustizia per Sekine, dentro e fuori dal tribunale.
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TUTTI SCAGIONATI PER LA MORTE DI ARAFET ARFAOUI
IL GIUDICE DISPONE L’ARCHIVIAZIONE. INGIUSTIZIA È FATTA.
LEGALIZZATA LA TECNICA DI TORTURA IN POSIZIONE PRONA.
Dopo la notizia di archiviazione definitiva, ci siamo presi un giorno per scrivere queste righe, un giorno lunghissimo di delusione, dolore e rabbia. Abbiamo seguito questo “caso” fin dai primi istanti, quando ancora il cadavere di Arafet era caldo nel cuore di Empoli, e sua moglie non sapeva neanche che era morto, invitata a raggiungere il commissariato perché suo Marito aveva “combinato un altro disastro”.
Il disastro invece l’avevano commesso loro.
Facciamo una fatica incalcolabile a digerire questa gravissima dimostrazione di impunità per le forze dell’ordine.
ARAFET ARFAOUI non avrà mai un processo. Non avrà mai “giustizia”.
Un uomo muore nelle mani delle forze dell’ordine, ammanettato, legato ai piedi con una corda come carne da macello.
Muore dopo una colluttazione nel bagno privo di telecamere che possiamo solo immaginare, ma ben scritta nei 23 segni di ecchimosi sul suo corpo.
Muore con 5 poliziotti addosso, che per 15 minuti continuano a schiacciarlo al suolo, anche dopo che non si muoveva più, continuando a dire che è violento impedendo di fatto un tempestivo intervento dei sanitari, in ritardo di ben 5 minuti nonostante Arafet sia già agonizzante, in evidente stato di difficoltà, immobile e inerme, senza manifestare alcun cenno di violenza, MAI, (come confermato dai video e dalle dichiarazioni dei sanitari) ma continuano a tenerlo schiacciato in posizione prona, tra lancinanti gemiti di sofferenza registrati durante la telefonata fatta al 118 in quei tragici momenti.
È morto con un consistente edema polmonare, tale da rendere un polmone grande il doppio dell’altro.
MA PER LA GIUSTIZIA ITALIANA VA TUTTO BENE.
È stata archiviata la posizione dei sette indagati per omicidio colposo: cinque poliziotti, un medico e un’infermiera del 118, per la morte di Arafet Arfoui, 31enne, avvenuta il 16 gennaio 2019 durante un controllo di polizia a Empoli.
Tutti scagionati, tutti innocenti. Arafet è morto da solo, per le due birre, un estathe’ e le tracce di cocaina assunta. Tracce, lontane anni luce dalla dose per intossicazione acuta, come dimostrato dalle perizie di parte della moglie Azzurra e di Acad. “un arresto cardiaco provocato proprio dal combinarsi dei fattori di rischio”, quali “ingestione combinata di cocaina e alcol e stress psico-sociale” conclude il Giudice.
È morto di paura?
Ma ciò che è ancora più grave della morte di un uomo che non trova verità e giustizia, sono le parole del perito riprese dal giudice Mancuso nell’ordinanza di archiviazione: “L’assenza del nesso causale rende superfluo indagare eventuali profili di colpa nell’operato del personale di polizia, essendo a questo punto irrilevante il fatto che gli agenti abbiano tenuto Arfaoui in posizione prona piuttosto che di fianco come raccomandano i manuali operativi in uso alle forze di polizia”.
“IRRILEVANTE”???
Secondo il perito la posizione prona non ha effetti nocivi.
Ma se ci sono altre decine e decine di precedenti mortali, se ci sono direttive che dicono ai poliziotti di non tenere le persone arrestate in posizione prona o comunque di spostarle subito su un fianco soprattutto se mostrano malessere, significa che si sa che quella posizione è pericolosa, no???
Come fa il perito a dire che quella posizione di per sé è neutra e IRRILEVANTE???
Con una rabbia incalcolabile per tre lunghissimi anni di duro lavoro dell’avvocato Giovanni Conticelli, di impegno e lotta, di dolore riflesso dalla moglie Azzurra che non si è mai arresa, l’archiviazione di Arafet ci fa male, tantissimo, ci spezza in due tra delusione e frustrazione, ed è inaccettabile, non solo perché non rende giustizia alla morte di un uomo, ma perché giustifica LA POSIZIONE PRONA CHE HA PORTATO ALLA MORTE DECINE E DECINE DI UOMINI NELLE MANI DELLE FORZE DELL’ORDINE.
Abbracciamo Azzurra e Arafet.
Ci abbiamo provato e continueremo a lottare.
BASTA IMPUNITÀ!!
Acad-Onlus
AGGIORNAMENTO PROCESSO: I FATTI DI SANTA MARIA CAPUA VETERE
Come Acad parte civile costituita, ieri, abbiamo rassegnato le conclusioni in udienza preliminare nel processo in corso all’aula bunker di Santa Maria Capua Vetere chiedendo che tutti gli imputati siano rinviati a giudizio per tutti i capi di imputazione contestati. Tortura, lesioni, violenze brutali e ancora depistaggi e coperture; tutte condotte che rompono il patto sociale tra i cittadini e lo Stato quando l’uso della forza in monopolio alle forze dell’ordine viene abusato in una fase, quella delle esecuzione della pena in carcere, dove le facoltà di difesa e reazione sono già minime.
C’è sempre bisogno di un processo penale per accertare le responsabilità soggettive, materiali e gerarchiche; in questo caso c’è bisogno di un processo pubblico e partecipato dalla società civile per ristabilire l’equità e la giustizia anche in carcere. L’ udienza preliminare proseguirà ogni martedì fino a metà giugno quando come richiesto anche dalla Procura Sammaritana il Giudice per le indagini preliminari dovrà decidere sul rinviare a giudizio gli imputati.