Un Paese civile ha una legge sulla tortura in sintonia con quanto stabilito dall’Europa in materia, un Paese civile tutela i soggetti più deboli e impegna le Istituzioni affinchè i diritti civili vengano promossi e rispettati, in un Paese civile i crimini commessi contro chi manifesta, come è successo a Genova nel 2001, vengono puniti, un Paese civile non può ammettere che Stefano Cucchi venga ucciso. La tortura viene praticata nel nostro Paese, lo dimostrano gli accadimenti che hanno visto come protagonisti troppo spesso persone delle Istituzioni e come vittime, giovani, lavoratori, oppositori politici, figure considerate ancora oggi sotto l’etichetta del ‘deviante’. Troppe le resistenze per l’approvazione di leggi in grado di tutelare i diritti civili e le libertà, troppe le resistenze per arrivare alla verità e alla giustizia nei processi per violenza che hanno visto come responsabili le forze dell’ordine.
Anche quest’anno ci sarà a Roma il Memorial in ricordo di Stefano Cucchi. Un’iniziativa per ricordare Stefano, per chiedere verità e giustizia. Domenica 2 ottobre alle 10 partiranno una gara agonistica di 6 km e una corsa non agonistica di 3 km che si svolgeranno all’interno del Parco degli Acquedotti (ingresso Via Lemonia – angolo Circonvallazione Tuscolana).
Dopo l’evento sportivo della mattina, nel pomeriggio ci saranno incursioni culturali, artistiche e musicali con Il Muro del Canto, nonchè attività e laboratori per i più piccoli. Partecipano, tra gli altri, Assalti Frontali, Ascanio Celestini, Daniele Vicari, Jasmine Trinca, Andrea Rivera, Giulio Cavalli, Alessio Cremonini, Paolo Romano, Massimiliano D’Ambrosio, Tiziano Scrocca, Silvia e Gaia Tortora, Ilaria Bonaccorsi, Stefano Anastasia e il Senatore Luigi Manconi.
Per il pranzo sarà allestita un’area ristoro con due ape car che offriranno prodotti tipici pugliesi e varietà di gelati.
Le magliette della competizione sportiva sono state realizzate da Makkox. Mentre la locandina anche quest’anno è di Zerocalcare.
Le iscrizioni alla maratona si possono fare sul sito della Uisp Roma (http://www.uisp.it/roma/index.php?contentId=1841) o anche direttamente la mattina dell’evento.
L’evento è organizzato dal Comitato promotore Memorial Stefano Cucchi in collaborazione con la Uisp Roma. Al #SecondoMemorialStefanoCucchi hanno aderito diverse realtà e associazioni come A Buon Diritto, Amnesty International, Runners for Emergency, ACAD Associazione Contro gli Abusi in Divisa – Onlus, Associazione Antigone, Libera Roma Presidio “Rita Atria” VII Municipio, Cittadinanzattiva Onlus, Baobab Experience, Officina Culturale Via Libera, Cooperativa Diversamente, Cies Onlus, Liberi Nantes, MEDU – Medici per i Diritti Umani, PID Onlus, Rete #NoBavaglio, Articolo 21, Associazione per i Diritti Umani e TILT.
Pedigrì per ACAD * D’amore non si muore *
10 ottobre: ACAD presenta NOISE
Roma 70 live 2016
SABATO 1 OTTOBRE
L’Associazione di Promozione Sociale Nessun Dorma presenta la
❖ 13° edizione del Roma 70 live! ❖
Il concerto più atteso di #RomaSud
FREE ENTRY
@CSOA La Strada
Il Roma 70 live nasce nel ’98 per promuovere band emergenti nel contesto della periferia di Roma sud.
Oggi l’evento è cresciuto ed ospiterà un’asta di tavole di vari fumettisti della scena romana (tra cui Zero Calcare) a sostegno di ACAD Associazione Contro gli Abusi in Divisa – Onlus e l’inaugurazione del Flash Market.
Saliranno sul palco diversi artisti, alcuni di questi legati all’etichetta discografica LDM, per poi chiudere con il live dei BEER BRODAZ.
———————————————-
▼ PROGRAMMA ▲
◆ Ore 17.00: Live Music
Coffeebeans
◆ Dalle ore 17.30 alle 20.00 (all’interno del mercato!)
-Asta a sostegno di ACAD Associazione Contro gli Abusi in Divisa – Onlus
-Inaugurazione Flash Market con degustazione gratuita di prodotti bio!
◆ Ore 20.00: Live Music
MÈSA – cantautrice
Madiba
Jekesa
Folcast
Il Branco
BEER BRODAZ
———————————————-
FOOD: Flash Market e vari box all’interno del mercato fino alle ore 22.00
BEVERAGE: Draft Beer (work in progress)
ROMA 70 NON DORME
———————————————-
www.aps-nessundorma.org
ACAD presenta NOISE,cena di sottoscrizione
Ecco chi è il Dino dei manifesti. E’ una vittima di malapolizia
Nella notte un secondo manifesto sui muri di Roma. Si tratta di una campagna di Acad a ridosso dell’appello per l’omicidio di Dino Budroni. Sua sorella Claudia e Fabio Anselmo alla Camera
di Checchino Antonini da popoffquotidiano.it
«Dino è morto con le mani alzate dopo lo sparo di un poliziotto», «Con un colpo al cuore», «Dino era disarmato», «Freddato con un colpo al cuore». Nella notte sono spuntati altri manifesti sui muri di Roma e hanno chiarito il piccolo mistero che la prima ondata di manifesti «Lo sai cos’è successo a Dino?» aveva sollevato in città e sul web. Si tratta di una campagna di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, a ridosso dell’apertura, il prossimo 4 aprile, del processo d’appello per l’omicidio di Dino Budroni. Oggi sua sorella Claudia e il suo legale Fabio Anselmo, sono alla Camera dei deputati per una conferenza assieme ad Acad e al parlamentare Daniele Farina della commissione Giustizia.
Aveva fretta il giudice romano che, nel luglio 2014, ha assolto il poliziotto che ha sparato a Dino Budroni, doveva cambiare incarico, aveva fretta – probabilmente – di togliersi quel fardello di processo rognoso: un omicidio commesso da una persona con la divisa ai danni di un cittadino senza divisa che, perdipiù, aveva commesso quella notte un bel po’ di reati. Ma quando gli spararono, probabilmente era fermo.
Tre anni prima, il 30 dello stesso mese, Budroni era stato ucciso sul Raccordo anulare. La lettura della sentenza è stata un lampo tagliente per chi era lì ad attendere la sentenza. Un’ora e mezza di camera di consiglio e quella parola, «assolve», prima che il giudice sparisse nei meandri della città giudiziaria. Novanta giorni dopo le motivazioni, undici pagine, sembrano una memoria dei difensori dell’agente, un ragazzo di trent’anni che nemmeno doveva trovarsi lì, quella notte, al posto accanto al guidatore. L’autista della Volante 10 doveva essere lui e non avrebbe sparato. Lui dice che avrebbe sparato perché la macchina di Budroni, che inseguiva da una ventina di chilometri, gli sarebbe potuta sgusciare ancora con una manovra repentina. A un suo collega è parso di sentire lo sparo nella fase del rallentamento, «ad una velocità diminuita ma ancora ragguardevole, forse di circa cento all’ora». Ma un carabiniere ha dichiarato, ed è agli atti, che appena sentito i colpi «ci siamo fermati… girandomi ho visto il Budroni che era seduto». Il nodo è questo, uno dei nodi, almeno. Budroni era in corsa oppure era incastrato? «Budroni si è buttato sulla destra con l’intenzione, probabilmente, di prendere quell’uscita; io così ho avuto il modo di stringerlo contro il guardrail costringendolo a rallentare fino a fermarsi». Fino a fermarsi.
Le sentenze si rispettano, così si usa dire. Ma chi ha letto queste parole del conducente della gazzella dei carabinieri e le carte del pm non riesce a farsi una ragione delle motivazioni dato che ha stampata in mente la posizione di tre vetture (una dei carabinieri di traverso, una della polizia a sinistra – la volante 10 – e l’altra dietro la Focus di Dino Budroni ormai incastrata e di traverso, a pochi millimetri dal guardrail di destra e a pochi centimetri da quella davanti, dei CC). Ad esempio quando si legge: «In ragione del tenore della ricostruzione dell’episodio fornita dai predetti CC risulta inoltre incontrovertibile che il Budroni, dopo essere stato colpito, è riuscito ad arrestare la sua Focus, inserendo addirittura e verosimilmente la prima marcia e il freno a mano, e ad alzare le mani, in seguito all’intimazione rivoltagli dal CC Giudici, prima di accasciarsi sul sedile di destra». Chi ha assolto il poliziotto ritiene che l’imputato abbia davvero inteso colpire la ruota posteriore sinistra della Focus e che si sia deciso a sparare solo alla fine di un lungo inseguimento «una volta resosi conto del folle comportamento del predetto». Ma come? Il carabiniere sembra preciso quando dice che «ci siamo fermati, direi quasi contemporaneamente all’arresto dei veicoli ho sentito due colpi di pistola… mi ponevo proprio davanti la vettura di Budroni. Vedevo il Budroni immobile e mi parve alzare le mani in segno di resa, subito dopo però lo stesso si è accasciato». Era fermo, pare. Erano ormai fermi.
Chi pensa, ad esempio i familiari, che una sentenza del genere abbia ucciso una seconda volta Budroni, non riesce a capire perché quello sparo. Lo hanno detto i periti, i legali di parte civile (che sono Fabio Anselmo e Alessandra Pisa, veterani dal caso Aldrovandi di processi come questo e ora alle prese con i casi Cucchi e Magherini), la pubblica accusa che ha sostenuto che l’agente ha sparato male, ha sparato due volte, ha sparato quando non era necessario, senza che glielo ordinasse nessuno.
Il pm aveva chiesto due anni e sei mesi. Pochi per Anselmo, legale dei familiari della vittima, che aveva provato a dire che non fu eccesso doloso perché non è vero che l’agente sparò in rapida successione: le macchine erano ferme e l’angolazione degli spari dimostrerebbe che non si può liquidare la morte di un uomo come eccesso in un’azione legittima. Ma il difensore del poliziotto ha sostenuto che l’auto di Budroni correva ancora quando il suo cliente ha sparato. Due film completamente diversi ma al giudice è talmente piaciuto il secondo che nelle motivazioni della sentenza non sembrano esserci tracce dell’impianto e delle ragioni della pubblica accusa. E, invece, si dilunga, nella brevità complessiva, nella descrizione di quanto accaduto venti chilometri più a sud del luogo del delitto, quando Dino era così fuori di sé da minacciare gravemente la sua ex convivente e danneggiare il suo portone.
Servirà quella descrizione per sostenere che sparare era una mossa «adeguata e proporzionata» al contesto, per interrompere «quel comportamento di grave e prolungata resistenza». Ma in tanti dicono che era ormai già fermo, che la missione era compiuta si sarebbe potuto dire con successo, senza nemmeno brandire le armi.
In casi come questi la formula magica è «uso legittimo delle armi» perché il comportamento di Budroni è «indubbiamente da qualificare come una reiterata resistenza caratterizzata da entrambi gli elementi della violenza e della minaccia perpetrata nei confronti degli agenti». Le motivazioni dicono che la posizione del corpo al momento in cui fu colpito, era quella di chi sta per sterzare a destra per fuggire. Ma era già incastrato e pressoché fermo e pare impossibile che in quella posizione potesse essere una minaccia per il traffico blando di quelle ore dell’ultima parte della notte: la macchina, sul lato del paracarri non ha un graffio, dall’altra ha i segni del contatto con le volanti. La radio di bordo ha registrato le voci degli agenti: «Vagli addosso!». Le motivazioni dicono il contrario, che «il Budroni tentava di collidere con improvvise sterzate finché non impattava con la Beta Como», l’altra auto della polizia.
Il processo d’appello vedrà di nuovo le parti scontrarsi sulla domanda cruciale: era davvero necessario sparare quella notte? E poi perché Dino ha dovuto subire un processo da morto: un decreto penale del Tribunale di Tivoli, infatti, lo ha condannato nel marzo del 2014 al pagamento di un’ammenda di 150 euro, perché in casa aveva una carabina ad aria compressa e una balestra con frecce a punta metalliche non denunciate. Che fine ha fatto l’articolo 150 del Codice Penale, secondo cui la morte del reo estingue il reato?